Thursday, October 16, 2008



Nuk dua te te prek

Penso a te un po’ di più,

forse più di prima

ma poco poco

è colpa della casa

è colpa del freddo

se mi sento più attraente

quando mi specchio nel bicchiere

pendente

sarà l’acqua che bolle nel vetro

appannato dal freddo,

sopra le dita morbide,

pende,

come filo tirato dal bottone

violentemente, senza far male all’ombelico

teso come la testa bollente

quanto le tue mani

rigate di linee che si spezzano,

tese sull’orlo della carne.

Ora penso a te un po’ meno di prima,

ma poco poco.

Forse perché 24 ore son passate

e altrettante sospenderanno il pensiero.

Domani scriverò qualcosa di più:

meno di quello detto finora.

Scriverò

di essermi impaludata per 48 ore dentro casa

sdraiata con la pigrizia affianco

che non vuole accendere le candele

perché la luce che trafora la saracinesca

getta abbastanza luce nella stanza;

di sentirmi incastonata nella matrioska

pendente

sull’orlo del tuo braccio,

che deglutire la saliva

è come smaltire un sonnifero che ha nome:

nuk dua te te prek

(trad: "Nuk dua te te prek": "Non voglio toccarti")

Jonida Prifti


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